Addio compagno Socrates

Publié le par Centro di Solidarietà Internazionalista

Davanti all'immancabile bicchiere di birra e con la sigaretta tra le dita l'uomo lungo come il suo nome (Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira) si ricordava così quando indossava i pantaloncini da calciatore e al braccio aveva la fascia di capitano di un Brasile zeppo di fenomeni: «Non ero un atleta, avevo solo talento». E, ordinata un'altra birra e accesa un'altra sigaretta, passava ad altri argomenti che nulla avevano a che fare col calcio. Per tutti era semplicemente Socrates, come l'aveva chiamato suo padre Raimundo appassionato di filosofia greca, e non amava parlare del passato perché, diceva, era troppo intento ad occuparsi del presente. Il suo presente è finito sabato scorso, stroncato da un'infezione intestinale all'ospedale Einstein di San Paolo. Nel futuro sarà ricordato come «il filosofo», uno dei giocatori più controcorrente della storia del futebol. «Il più intelligente dei brasiliani», secondo Pelé. «Un uomo di sinistra e un anticapitalista», per autodefinizione. Un poeta idealista, spiazzante un mondo via via sempre più prosaico e pragmatico.
Non era un figlio delle favelas che affidava al calcio il suo riscatto sociale. Era già laureato in medicina sportiva quando esplose nel Corinthians, verso la fine degli anni '70. Affinò il colpo di tacco per sopperire al deficit di agilità di un fisico lungo 192 cm. Aveva già il viso affilato contornato da un'incolta barbetta alla Che Guevara. E non era solo una questione di look. Subito leader dello spogliatoio, fondò la «democrazia corinthiana» cui tutto lo spogliatoio aderì con entusiasmo. Regole comportamentali e strategie tattiche venivano discusse collettivamente, senza allenatori a dare la linea. Si discuteva anche di temi d'attualità, e se si doveva protestare contro la dittatura si scendeva in campo con i numeri sulla schiena messi al contrario. Digressioni sportivamente controproducenti? Macché. Quel Corinthians autogestito ha vinto due campionati e non è stato dimenticato. I suoi successori, domenica, hanno salutato Socrates con un minuto di silenzio col pugno chiuso, prima della partita che è valsa la conquista dello scudetto.
Come molti di quel mostruoso Brasile che al Mundial spagnolo dell'82 fu eliminato dagli azzurri, anche Socrates approdò in Italia, alla Fiorentina. Non fu un idillio. All'allenatore De Sisti, che per spronarlo a liberarsi della saudade gli chiedeva se non leggesse cosa si diceva di lui, rispose: «Certo che leggo i giornali, ma solo le pagine di politica, quelle sportive non mi interessano». Tornando in Brasile, dopo una sola stagione, ha lasciato in eredità ai giocatori italiani due definizioni che sintetizzavano, per contrasto, la sua alterità all'ambiente: «cinici» e «impiegati». Ecco perché poi, nel mondo sempre più globalizzato anche in questo, si annoiava a guardare le partite e non voleva parlare di un calcio in cui tutti obbediscono e nessuno osa più scendere in campo col numero messo al contrario.

 

tratto da www.ilmanifesto.it

Pour être informé des derniers articles, inscrivez vous :
Commenter cet article